Bela Guttmann: storia e anatema image
20/06/2018

Béla Guttmann, ebreo scampato all’olocausto ma con un fratello morto in un lager, era figlio di due ballerini e giovanissimo divenne maestro di danza, tuttavia preferì dedicarsi al calcio. Quando si trasferì a Vienna, la sua città prediletta, si  laureaò in psicologia. Giocò in Europa e Stati Uniti e allenò, oltre che nel vecchio continente, anche in Sud America. Guttmann fu l' autore della maledizione lanciata al Benfica nel 1962 e ormai è sinonimo di gufo e viene ricordato quasi esclusivamente solo per quello ma in realtà è stato un personaggio cardine nella storia del calcio mondiale. Fu l'inventore del 4-2-4, modulo innovativo con cui la nazionale brasiliana guidata da Vicente Feola, estimatore del gioco di Guttmann, vinse il suo primo mondiale nel 1958 in Svezia. Allenatore giramondo, carismatico e attento a ogni dettaglio, era un uomo molto sicuro di se a cui non mancava l'umorismo.

«L’allenatore domina gli animali, nella cui gabbia conduce il proprio spettacolo, finché li tratta con fiducia in sé e senza paura. Ma nel momento in cui diventa incerto della sua energia ipnotica, ed i primi segni di timore appaiono nei suoi occhi, è perso».
(Béla Guttmann)
 
«La scelta finale dello schieramento della squadra dipende anche da fattori importanti come il campo, le condizioni del tempo e anche il naso dei giocatori. Il naso è molto importante, sa? Se qualcuno si congestiona e non respira bene non gioca».
(Béla Guttmann)

La storia di Béla Guttmann è piena di misteri a partire dalla sua data di nascita. La città di Budapest gli dà i natali ma non si sa bene quando, se nel 1899 o nel 1900.
Centromediano metodista con l’ eleganza di un ballerino e una tecnica eccellente, giocava nell' MTK Budapest, in quel periodo la squadra più forte nel campionato ungherese con la quale vinse due campionati in altrettante stagioni.
Causa l’ascesa al potere di Miklos Horthy, noto antisemita, nel 1921 Béla si trasferì a Vienna, nell’Hakoah, club icona della comunità ebraica della città mitteleuropea e esempio di squadra itinerante che girava l’Europa e il mondo per esibirsi e confrontarsi con altre realtà.
Guttmann, considerato uno dei migliori talenti del calcio danubiano, partecipò alle Olimpiadi del 1924 con l’Ungheria, ma la sua carriera in nazionale fu a dir poco effimera. Aveva 24 anni ma già grande personalità. Si narra che durante il ritiro, Guttmann riteneva che nel gruppo ungherese vi fossero più dirigenti che giocatori e che l'albergo dove era stazionata la squadra era più adatto a socializzare che non alla preparazione. Per manifestare il suo dissenso, attaccò per la coda dei topi (non si sa come) alle porte delle stanze dei dirigenti. Fu così che terminò la sua carriera nella selezione magiara.
Nel 1926, alla fine di una tournée negli Stati Uniti, visto il successo riscosso, Guttmann fondò l’Hakoah All Stars. La squadra cominciò a girare gli States per mostrare le grazie del calcio. Béla si integrò negli Stati Uniti, e questo lo portò a giocare con i New York Giants e purtroppo a compiere investimenti rilevanti in borsa. Il crollo di Wall Street del 1929  incenerì il suo capitale ma Guttmann rimase a giocare nel nuovo continente fino al 1931, quando tornò in Austria chiudendo la carriera con la Hakoah Vienna nel 1933.

Béla quindi intraprese la carriera da allenatore, che lo ha portato ad essere uno dei tecnici più innovativi. È stato il precursore dell'allenatore con uno stile arrogante, deciso e da grande comunicatore. I suoi principi di gioco erano: «Passare il pallone per arrivare in porta. Marcare e smarcarsi. Se la palla non è nostra, marca. Se lo è, smarcati. Il principio fondamentale del calcio è tutto qui».
Allenò l'Hakoah, poi andò in Olanda, al Twente e successivamente in patria, al all’Ujpest Dosza, con la quale Guttmann colse il suo primo alloro vincendo il campionato nel 1939. Con l'arrivo della guerra però per gli ebrei in Europa la situazione si fece estremamente pesante: Béla si rese irreperibile. Mentre suo fratello moriva in un lager, il tecnico riuscì a salvarsi nascondendosi, c’è chi dice  in Sudamerica, chi a Parigi e chi a Vienna. Rimane un mistero. Guttmann, quando gli veniva chiesto come avesse fatto a salvarsi, rispondeva sempre e solo «Dio mi ha aiutato».
Dopo aver ripreso ad allenare anche in Romania, Guttmann divenne nel 1947 l’allenatore del Kispest, la futura Honved, una squadra straordinaria asse portante della Grande Ungheria. Ma per uno screzio con Puskas lasciò la la squadra a fine stagione. Arrivò a Padova, dove cominciò la sua avventura italiana proseguita poi alla Triestina e dopo un breve ritorno in Ungheria, dove affiancò il Gusztáv Sebes alla guida della nazionale per un anno, la sua indole girovagante lo portò prima in Argentina, a Quilmes dove allenò l'omonima squadra in provincia di Buenos Aires e in seguito sbarcò a Cipro, all’Apoel Nicosia. Arrivò la proposta del Milan che naturalmente accettò ma Béla venne presto esonerato.
Guttmann passò al Vicenza e nel 1955 rimase coinvolto in un incidente stradale in cui due bambini persero la vita. Nel 1957 decise allora di andarsene in Brasile, al San Paolo, probabilmente per evitare il processo. Guttmann amava affermare: «Primo, segnare; dopo, cercare di non soffrire» e: «Il sistema è per gli uomini, non sono gli uomini per il sistema» .
E furono proprio le caratteristiche dei giocatori della compagine brasiliana che lo portarono a inventare uno schema praticamente sconosciuto all’epoca visto che prima del suo arrivo nessuna formazione brasiliana aveva mai schierato quattro difensori veri. Questo sistema però lo aveva già usato in alcuni match in italia: il 4-2-4. I moduli più usati all’epoca erano il 3-2-2-3 di Chapman o il 3-2-3-2 della Grande Ungheria. Guttmann arretrò un interno a centrocampo, tolse un mediano per inserire lo stopper. Con il San Paolo vinse subito il campionato paulista. Il suo modo di giocare piacque molto al tecnico della nazionale brasiliana Vicente Feola, che lo applicò anche ai mondiali in Svezia dove il Brasile, anche grazie a questo, vinse la sua prima Coppa del mondo giocando finalmente in modo equilibrato, unendo al modulo di Guttmann giocatori del calibro di Pelé, Didì, Vavà, Zito, Garrincha e tutti gli altri. Imparata ormai la lingua portoghese Béla approdò al Porto, dove con una strabiliante rimonta conquistò il campionato, e mentre la società degli azuis e brancos lo ossequiava, lui si accordava con gli acerrimi rivali del Benfica dove Guttmann colse i suoi più importanti successi che lo portarono ad essere uno dei migliori allenatori di quel periodo: in tre stagioni vinse due campionati, una coppa di Portogallo e due Coppe dei Campioni. Dopo il primo successo europeo, nella squadra delle aquile, arrivò dal Mozambico il fuoriclasse Eusébio, che avrebbe dovuto trasferirsi allo Sporting, ma Guttmann con vari stratagemmi lo portò al Benfica. Nel 1960 si incontrò con José Carlos Bauer, allenato dal tecnico ungherese al San Paolo, il quale gli disse di aver visto un giovane giocatore «che non appartiene a questo mondo». Guttmann verificò e volle portarlo al Benfica ad ogni costo.
Eusebio era già stato opzionato dai rivali dello Sporting Clube de Portugal ma Guttmann versò 20.000 dollari alla mamma del fuoriclasse e lo imbarcò sull’aereo per Lisbona (dove era atteso per la firma con i verdebianchi). Arrivato in Portogallo, dopo qualche giorno di riflessione, la "Pantera" cedette alle lusinghe del tecnico del Benfica e firmò per i rossi.
Con Eusebio, il Benfica rivinse la Coppa dei Campioni sconfiggendo in finale Real Madrid di Di Stefano ma perse il campionato e il tecnico magiaro pronunciò la frase: «Il Benfica non ha il culo per sedersi su due sedie» e si lasciò in malo modo con la dirigenza del club. Il movente fu un premio in denaro che l'allenatore riteneva di meritare. I dirigenti non lo assecondarono e lui si adirò. Ecco allora il famosissimo anatema: “D’ora in avanti il Benfica non vincerà più una coppa internazionale, per almeno 100 anni”. La leggenda dice che furono queste le parole pronunciate dal grande allenatore ungherese il primo maggio 1962. Qualcuno sostiene che nel calcio queste cose contano poco. Fatto sta che il Benfica non ha più vinto ed ha perso otto finali in circa mezzo secolo. Come se non bastasse, la maledizione sembra funzionare anche sui baby visto che i rossi hanno perso anche due finali di Youth League.

Giovanni Fiderio

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