La Garra Charrúa dell'Uruguay image
18/06/2018

Molta gente si chiede come mai una piccola nazione sudamericana, un paese con poco più di tre milioni di abitanti ergo la quantità di abitanti di Milano e provincia, riesca ad avere storicamente una nazionale calcistica così competitiva, magia? Segreti? O forse Leggenda...
La Nazionale di calcio “Celeste" è una delle più titolate al mondo e analizzando i dati demografici possiamo affermare che il peso delle sue vittorie assume certamente un significato epico; avendo vinto due mondiali, nel 1930 in casa e nel 1950 in Brasile proprio grazie ad un' impresa leggendaria contro i padroni di casa quando si imposero 2-1 al Maracanà gremito da circa 200.000 persone. Da quel giorno la nazionale brasiliana cambiò i colori della divisa (prima della sconfitta era di colore bianco con colletto blu) e tra i pali della sua porta non fece più giocare un portiere nero in una fase finale dei mondiali per scaramanzia in quanto Barbosa venne ritenuto il principale responsabile della sconfitta a causa della rete subita da Ghiggia. Tra le nazionali che si sono fregiate di titoli mondiali sono presenti sulle divise delle stelle che fanno riferimento alle volte in cui la squadra è riuscita a laurearsi campione del mondo. Sulla maglia della Celeste non si vedono due stelle ma bensì quattro; il perchè è da collegarsi al fatto che la suddetta nazionale ha conquistato anche due ori olimpici consecutivi quando ancora non esistevano i Mondiali. I titoli vinti a Parigi nel 1924 e ad Amsterdam nel 1928. Tali tornei, insieme a quello delle Olimpiadi di Anversa del 1920 (vinto dal Belgio), furono organizzati dalla FIFA che li riconosce ufficialmente come titoli mondiali ma li separa statisticamente dal Campionato mondiale di calcio. Visto il prestigio e la grande cultura calcistica, non è un caso che la FIFA scelse proprio l'Uruguay come sede della prima coppa del mondo di calcio disputatasi nel 1930.
La Celeste è inoltre la nazionale più vincente in Coppa America avendo ottenuto infatti 15 titoli (ultimo nel 2011 in Argentina) contro 14 dei rivali albicelesti e 8 del Brasile. Nel suo palmares annovera anche il Mundialito disputato a Montevideo tra il 1980 e il 1981. Nel campionato nazionale uruguaiano troviamo squadre mitiche come il Penarol e il Nacional, entrambe di Montevideo, che tra i vari trofei contano 3 coppe Intercontinentali (che la Fifa riconosce ufficialmente come titoli mondiali per club) ciascuno.

“L’ Uruguay è uno di quei Paesi dove dovrebbero mettere delle porte di calcio alle frontiere. Al visitatore sarebbe chiaro che quel Paese altro non è che un gran campo di football con l’aggiunta di alcune presenze accidentali: alberi, mucche, strade, edifici… ” (Jorge Valdano)

Questa citazione è sicuramente la più adatta per capire cosa significa il gioco del calcio in Uruguay.

Il popolo Uruguaiano ha naturalmente anche origini indigene le quali sono state assorbite dalla maggioranza europea.
Il termine charrúa è il comune denominatore del piccolo paese che è detto "Nación Charrúa".
I Charruas erano un popolo amerindio dell'Uruguay che visse fino al XVI secolo. Questa comunità si spinse anche in Argentina e in Brasile. Dopo l'arrivo degli esploratori europei, i Charruas furono decimati e via via integrati nella società coloniale ma si opposero ai coloni lottando con onore e con grande ardore, fuono guerrieri orgogliosi e temerari, ma furono sopraffatti dagli eventi.
Il termine charrùa, grazie alle imprese dei guerrieri da cui deriva, ha quindi acquisito nella storia il significato aggiunto di orgoglio, forza, grinta, unità di gruppo, coraggio e il combattere arditamente nonostante una sorte che sembra essere già segnata (ma che con la garra charrùa può essere ribaltata).
La Celeste, e molte squadre sudamericane hanno spesso impersonato esattamente l'indole Charrúa che unita alla “garra” che significa “artiglio”, da il nome a questa espressione che è stato l’ingrediente aggiunto di grandi imprese sportive di tali squadre. La nazionale uruguaiana ne ha fatto un mantra. Questo ardore, la “cattiveria” agonistica, oltre a grande sagacia tattica unita a una grande tecnica individuale, sono storicamente i suoi tratti caratteristici che i più vecchi tramandano ai più giovani, questa è la scuola uruguagia.

"Se c'era stata fino ad allora una scuola calcistica in grado di fondere fantasia ed estrema concretezza, non-gioco e improvvise fiammate, innata sapienza tattica e contenimento dello sforzo, questa era proprio quella uruguagia. I brasiliani avevano patito innanzitutto la propria inferiorità tattica, e per questo persero 2-1". (Gianni Brera sul mondiale del 1950, la Repubblica, 1988)

La nazione charrúa ha dato al calcio una quantità impressionante di grandi calciatori in proporzione alla sua popolazione. Si pensi, tra i tanti, ai campioni mondiali del '30 tra cui c'erano Pedro Cea e José Leandro Andrade, soprannominato la maravilla negra ("la meraviglia nera")
che annoverano nel loro palmares 1 mondiale, 2 ori olimpici e 3 coppe America, o a Hector Scarone vittorioso in 1 mondiale, in 2 olimpiadi e in 4 coppe America.
Tra gli eroi del mondiale del 1950 troviamo il nipote del sopracitato campione mondiale 1930 José Leandro Andrade, vale a dire Víctor Rodríguez Andrade (viene da pensare a quanto sia piccolo l'Uruguay), il bomber Oscar Míguez detto "Cotorra" ovvero pappagallo, il regista Juan Alberto Schiaffino il quale è considerato uno dei più grandi giocatori nella storia del calcio. Molti lo ritengono il migliore calciatore uruguaiano di tutti i tempi.

"Forse non è mai esistito regista di tanto valore. Schiaffino pareva nascondere torce elettriche nei piedi. Illuminava e inventava gioco con la semplicità che è propria dei grandi. Aveva innato il senso geometrico, trovava la posizione quasi d'istinto."
(Gianni Brera)

"Schiaffino, con le sue giocate magistrali, organizzava il gioco della squadra come se stesse osservando tutto il campo dalla più alta torre dello stadio". (Eduardo Galeano nel libro: Fútbol a sol y a sombra)

Altri grandi campioni della vittoria del '50 furono Ghiggia, ala destra che segnò il gol decisivo al Maracanà, Obdulio Varela il grandissimo capitano che era l'impersonificazione perfetta della Garra Charrúa e l' ottimo portiere Maspoli, oltre agli altri...L'Uruguay, oltre ai già citati campioni, ha dato i natali anche a Michele Andreolo (che avendo avi italiani giocò e vinse il campionato mondiale di calcio 1938 con la nazionale azzurra in Francia), José Santamaría, Enzo Francescoli, Ruben Sosa, Alvaro Recoba, Daniel Fonseca, Paolo Montero, Diego Lugano, Diego Forlan, Diego Godin, Edinson Cavani, Luis Suarez, José Gimenez ed altri ancora; ha una grande tradizione, è una riserva continua di talenti che speriamo, per il bene del calcio, non finisca mai.

Giovanni Fiderio
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